Angela Mucciolo, Dottore in Scienze e Tecnologie delle Produzioni Animali

Claudio Mucciolo, ASL di Salerno, Dipartimento di Prevenzione – Direttore UOC Igiene e Sicurezza Alimenti di O. A. – cl.mucciolo@aslsalerno.it

INTRODUZIONE

Gli alcaloidi sono un gruppo variegato di molecole presenti in natura, soprattutto dalle piante; gli alcaloidi pirrolizidinici sono tra quelli che hanno ricevuto più attenzione sia per le proprietà farmacologiche e tossicologiche e sia per il ruolo che stanno ricoprendo all’interno della catena alimentare. Se ne conoscono circa 660 e circa la metà di essi è responsabile di tossicità acuta o cronica; tossicità dovuta alla presenza nella loro struttura chimica di un doppio legame, la cui metabolizzazione in sede epatica porta alla formazione di alcaloidi pirrolizidinici 1,2- insaturi causa di eventuali danni per l’organismo umano e animale.

La crescente consapevolezza della contaminazione da PAs in molti alimenti in tutto il mondo giustifica l’interesse e la preoccupazione per questo argomento.

Sebbene nella maggior parte dei casi i loro livelli siano insufficienti a causare avvelenamento acuto, vengono spesso consumati in quantità che superano l’assunzione giornaliera massima raccomandata dalle autorità, il che potrebbe portare nel lungo periodo all’ insorgenza di patologie croniche.

Non vi è una vera e propria allerta riguardo questi metaboliti, ma ci si sta interrogando sempre più sulla loro presenza e su come, anche nella pratica quotidiana, si possa arginare la loro presenza.

GLI ALCALODI PIRROLIZIDINICI

Le piante producono diversi metaboliti primari essenziali per la loro fisiologia e per il loro sviluppo; sintetizzano sia composti organici (proteine, lipidi, clorofilla, enzimi e aminoacidi) che inorganici (minerali), che li aiutano nella crescita (Debord C. et al., 2017, Fang C. et al., 2019).

Allo stesso modo le piante hanno sviluppato un’ampia varietà di metaboliti secondari come meccanismo di difesa contro erbivori, microorganismi e piante (Fang C. et al., 2019, Ziegler J. e Facchini PJ., 2008); tra le varietà di metaboliti secondari conosciuti, circa 12000 sono alcaloidi (Ziegler J. e Facchini PJ., 2008); si possono accumulare in varie porzioni della pianta (semi, infiorescenze, foglie, stelo, radici, nettare e polline). Possono essere presenti in due forme: ammine terziarie e relativi N-ossidi (PANOs).

Gli alcaloidi pirrolizidinici (PAs) comprendono un gruppo variegato di circa 360 strutture e sono presenti in alcuni generi di piante superiori (Hartmann T.,1999), tra le quali le più comuni sono Senecio (Asteraceae) (Van Wyk Be. et al.,2017), Echium (Boraginaceae) (Bopprè, Colegate e Edgar, 2005), Crotalaria (Fabaceae) (Zhang W. et al., 2017) ed Eupatorium (Asteraceae) (Edgar, Roeder e Molyneux, 2002).

Il contenuto di PAs può variare a seconda della specie vegetale, del punto di accumulo, del tempo di raccolta e delle condizioni climatiche. Da tempo è nota la loro grave azione epatotossica nonché cancerogena e genotossica e possono causare morte nell’uomo e nel bestiame.

Questi metaboliti sono stati oggetto di interesse della comunità scientifica perché la loro bioattivazione a livello epatico, una volta che l’ uomo e l’animale ha ingerito sostanze che li contengono, può portare danni al circolo epatico con l’ istaurarsi di ipertensione portale; in realtà i meccanismi di innesco sono ancora in perenne aggiornamento ma si è arrivati alla conclusione che possono essere i diretti responsabili della “sindrome da ostruzione sinusoidale epatica” con conseguenze a livello di microcircolo epatico e sistemico; in realtà gli studi sulla loro tossicità si sono spinti oltre, andando a definire un quadro anche di tossicità di tipo cronico, con l’interazione di questi metaboliti con lo stesso DNA e proteine. Ecco che è stato necessario condurre studi di monitoraggio sulla loro presenza nell’ ambiente e nei prodotti derivati sia di origine vegetale che animale; su quest’ ultimi, di sicuro il miele è stato ed è il prodotto che più rischia di venire a contatto con gli PAs per via dell’interazione che le stesse api hanno con le piante. È inevitabile che sia gli integratori alimentari con estratti di piante, sia tisane, sia gli stessi alimenti prodotti da animali venuti a contatto con gli alcaloidi pirrolizidinici possano presentare alla fine questi composti (Molineux RJ et al., 2011).

I PAs, una volta introdotte nell’organismo, vanno incontro ad un rapido assorbimento attraverso il sistema gastroenterico e successiva metabolizzazione a livello epatico con trasformazione nei rispettivi «N-ossidi», con produzione di derivati pirrolici (metaboliti attivi) con escrezione per via urinaria e biliare (Lin G. et al., 2011).

Possono causare problemi agli animali e all’uomo, in quest’ultimo possono causare tossicità acuta (ipertensione polmonare, insufficienza cardiaca, flebopatia veno-occlusiva ecc.) e tossicità cronica (cirrosi epatica), inoltre c’è il sospetto che possano

avere effetti genotossici, mutageni e cancerogeni (Schrenk D. et al., 2020).

Si tratta di un gruppo di più di 660 composti, caratterizzati dalla presenza di un gruppo azotato eterociclico, la «necina», 21 dei quali sono considerati i principali responsabili della tossicità.

Per il loro ruolo oncogeno, hanno spinto i ricercatori a interrogarsi sulla loro presenza nell’ ambiente e il loro trasferimento negli alimenti che l’uomo e gli animali possono ingerire; si è andata delineando una realtà più che mai emblematica di come queste tre realtà, l’ambiente con la sua fauna, l’animale che vive nell’ ambiente e l’uomo che convive con essi, siano inevitabilmente collegate tra loro e non possano prescindere una dall’ altra.

Le piante produttrici di PAs iniziano ad avere un ruolo importante nella sicurezza alimentare; alla luce anche di cambiamenti all’ ecosistema ambientale, con l’avanzare sempre più imponente di piante “invasive”, si è reso necessario un approccio al problema da parte delle Autorità e da parte di ricercatori, sulla scia del principio di “One Health”.

LE PRINCIPALI FAMIGLIE BOTANICHE PRODUTTRICI DI ALCALOIDI PIRROLIZIDINICI

Gli PAs sono estremamente variabili e complessi da un punto di vista chimico e dal punto di vista di distribuzione e presenza nell’ ambiente. Sono metaboliti secondari prodotti da più di 6000 specie vegetali che fanno capo principalmente a 3 famiglie ossia Boraginaceae, Asteraceae e Fabaceae.

Tra queste abbiamo piante utilizzate come cibo o culture foraggere e altre che invece sono state definite “infestanti” o “invasive” poiché si sono adattate a un clima e a un terreno differenti dalla loro origine.

Tra le specie appartenenti alla famiglia Boraginaceae, attenzione merita sicuramente la principale rappresentante ossia la Borago officinalis (Figura 1).

La borragine, originaria dell’area mediterranea, è una comune pianta aromatica annuale, comunemente usata nella preparazione di insalate, tè, ma anche di pasta ripiena, basti pensare ai tortellini di borragine e ricotta italiani ed è ampiamente coltivata anche per la produzione di olio di semi, ampiamente rinomato per le elevate quantità di acido grasso essenziale γ-linolenico; è sfruttata anche in apicoltura viste le grandi proprietà mellifere. 

FIGURA 1: Alcaloidi pirrolizidinici trovati in Borago officinalis (borragine): Fiore di B. officinalis. I fiori giovani mostrano un colore blu mentre i fiori più vecchi presentano, a causa di un PH più basso, una colorazione leggermente rossastra.

FIGURA 2: Echium vulgare (Viperina azzurra) (www.wikipedia.it)

Dalla consapevolezza del possibile rischio, la borraggine è stata inserita nella lista delle piante non ammesse dal Ministero della Salute ai fini alimentari e terapeutici (www.cnr.it); però si può usare l’olio estratto dai suoi semi.

Sempre appartenente alla famiglia Boraginaceae, merita considerazione la Viperina azzurra ossia l’Echium vulgare (Figura 2), considerata una delle maggiori piante mellifere e la principale responsabile della presenza di PAs nel miele europeo (Kast C. et al., 2014). Essa è una pianta erbacea spontanea che è divenuta con il tempo cosmopolita in tutto il continente europeo.

La parte della pianta che contiene il più elevato contenuto di alcaloidi pirrolizidinici è il polline, e l’alcaloide più riscontrato è proprio l’N-ossido di echivulgarina (Lucchetti MA. et al., 2016). Il suo fiore è stato inserito nella lista degli estratti vegetali non ammessi negli integratori alimentari. (www.ministerodellasalute.it; www.cnr.it).

Sempre appartenente alla famiglia Boraginaceae merita una descrizione l’Heliotropium Europaeum o anche detto “selvatico” (Figura 3), soprattutto, è un’erba che produce PAs in elevate quantità ed è nota per la sua natura infestante nei foraggi, con elevato riscontro nei mangimi e di conseguenza negli alimenti (Picron JF. et al., 2021).

FIGURA 3 : Heliotropium Europaeum( www.infoflora.it)

Al genere Heliotropium appartiene anche la specie H. arborescens (Figura 4), detto anche “fior di vaniglia”, per il suo caratteristico odore e i suoi fiori viola-azzurri. Quest’ ultima però è considerata una specie alloctona perché originaria del Perù, neofita casuale in alcune zone del Nord Italia. Le antiche tradizioni popolari associavano l’eliotropina, un costituente delle paiante del Heliotropium, alla cura dell’asma, e per questo si è creduto potesse essere sfruttata come una risorsa naturale per la terapia di patologie respiratorie ma il Ministero della Salute non ne ha ammesso l’utilizzo (www.ministerodellasalute.it; www.cnr.it).

FIGURA 4: Heliotropium arborescens (www.verdeinfiore.it)

Passando alla famiglia Fabaceae, la Crotalaria (Figura 5) è un genere di piante da fiore, nota la sua tossicità ed è sconsigliato l’uso per alimentare gli animali; infatti, secondo diversi studi, i semi di alcune specie di Crotalaria possono contenere fino al 5% di alcaloidi tossici.

FIGURA 5: Crotalaria (Solofomalala Duvale A. et al., 2021).

Le piante produttrici di PAs iniziano ad avere un ruolo importante nella sicurezza alimentare; alla luce anche di cambiamenti all’ ecosistema ambientale, con l’avanzare sempre più imponente di piante “invasive”, si è reso necessario un approccio al problema da parte delle Autorità e da parte di ricercatori, sulla scia del principio di “One Health”.

GLI ALCALOIDI PIRROLIZIDINICI E LA SICUREZZA ALIMENTARE

Gli stessi animali sono a rischio già al pascolo perché possono imbattersi in un ambiente “povero” di nutrienti, dove magari si fanno spazio  le piante “infestanti” che, come succede spesso in natura, non avendo più competitors adeguati che ostacolino la loro crescita, prendono il sopravvento; e se di norma quest’ ultime sono poco appetibili per gli animali, per un mero  discorso organolettico, nel momento in cui si diffondono e diventano l’ unico cibo disponibile per il bestiame, gli animali al pascolo finiscono per ingerirle. Negli allevamenti di tipo intensivo, invece, queste erbe “infestanti” possono accidentalmente venire raccolte ed essiccate con il fieno o subire la fermentazione con l ‘ unifeed, finendo nella razione somministrata agli animali.

L’ esposizione accidentale agli PAs nell’ uomo è similare a quella degli animali, ossia vi è un’ingestione fortuita di erbe; alcuni esempi riportati in letteratura:

  •  casi di intossicazione dell’uomo come la contaminazione di cereali con semi di Crotalaria spp. nel 1972 in India;
  • l’intossicazione di massa in Afghanistan per consumo di pane ottenuto da grano contaminato con semi di Heliotropium popovii nel 2008;
  • nel 2009 in Germania, dove a seguito della presenza di foglie di Senecio vulgaris nel mezzo di insalata di quarta gamma di rucola (le cui foglie sono simili a quelle del Senecio), vi sono stati casi di ospedalizzazione; a questo episodio è seguito anche un comunicato dal BFR ossia dall’ Istituto Federale per la Valutazione del Rischio in Germania che non escludeva che sulla lunga percorrenza queste persone possano avere problemi di cirrosi epatica…” (www.vitaminabee.it).

Alte concentrazioni di alcaloidi pirrolizidinici (PAs) possono essere pericolose.

Un nuovo Regolamento Ue stabilisce i limiti massimi in: integratori alimentari a base di polline, polline e prodotti a base di polline. Osservatorio Nazionale Miele, Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna e Università di Padova hanno attivato una collaborazione per indagare il polline italiano.

L’Efsa (European Food Safety Authority) ha iniziato ad occuparsi di alcaloidi pirrolizidinici (PAs) fin dal 2007). Ha iniziato una serie di monotoraggi sul food and feed ossia, sia sui mangimi somministrati agli animali, sia sui prodotti di origine animale destinati all’ uomo al fine di effettuare un’attenta valutazione del rischio di tutte le possibili fonti di esposizione agli PAs.

Come per tutte le sostanze tossiche, va tenuta presente la biodisponibilità, un fattore estremamente importante per lo studio degli effetti del metabolita, ma ad oggi,  studi della sua valutazione sugli alcaloidi pirrolizidinici sono ancora pochi; e laddove non si hanno dati certi a supporto, in materia di sicurezza alimentare si adotta da sempre il “principio di precauzione” ossia ci si immagina lo scenario peggiore nelle scelte e nelle decisioni da prendere; la biodisponibilità va considerata quindi al 100% , calcolata prendendo in  riferimento i composti ad oggi ritenuti più tossici.

Nel mentre ogni Autorità Nazionale sulla Sicurezza Alimentare di alcuni Stati, nel corso degli anni, ha espresso una serie di pareri sulle dosi ritenute “tollerabili” ossia che non espongano l’uomo ai rischi derivati dall’ assunzione di PAs (Tabella 1).

TABELLA 1:( www.vitaminabee.it) (2019)

                    AUTORITA’DOSE TOLLERABILE PER PAs (insaturi) e PANOs
              Bundesangeir (Germania,1992)                   fitoterapici1µg/ g (max. 6 settimane) 0,1 µg/g (> 6 settimane)
                  Bfr (Germania, 2011)0,007 µg/ kg p.c./ giorno
 Food Standards Australia New Zealand (Australia, FSANZ, 2001) (all sources)1µg/ kg p.c./giorno (target di tossicità VOD; non considera la possibilità di induzione di tumore)
                   RIVM (Olanda, 2007)0,1 µg/kg p.c./giorno (non considera la possibilità di induzione di tumore) 0,43 ng/kg p.c/giorno
 Commitee On Toxicity (Regno unito, COT, 2008)0,1 µg/kg p.c./giorno (non considera la possibilità di induzione di tumore) 0,007 µg/ kg p.c./ giorno

Nella tabella sopra riportata, si vede come negli anni ‘ 90 si presero in riferimento solo i prodotti fitoterapici ma nel tempo, i prodotti oggetto di studi sono aumentati con la consapevolezza dell’ampia distribuzione degli PAs; si sono delineati due possibili scenari, ossia sostanze che inducono esclusivamente epatotossicità e sostanze ritenute genotossiche e/o cancerogene, andando a delineare due dosi tollerabili differenti in base all’ effetto previsto.

LA POSIZIONE DELL’ EFSA

Nel 2011 L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha pubblicato un parere scientifico sulla presenza, negli alimenti e nei mangimi, degli alcaloidi pirrolizidinici, noti come PAs 1,2- insaturi (EFSA,2011). Gli esperti scientifici del gruppo sui contaminanti nella catena alimentare (CONTAM) dell’EFSA hanno individuato la presenza negli alimenti e nei mangimi di un certo numero di PAs come potenziali contaminanti, definendoli possibili fattori cancerogeni e genotossici.

Sebbene possano esistere altre fonti di esposizione agli PAs, hanno focalizzato l’attenzione esclusivamente sul miele su cui erano disponibili numerosi dati di supporto. È l’alimento di origine animale maggiormente coinvolto in questo problema di sicurezza alimentare poiché le api bottinatrici posso direttamente entrare a contatto con le piante produttrici.

Si è comunque giunti alla conclusione che il ruolo maggiore per effetti di tipo acuto come la sindrome da VOD e per effetti di tipo cronico come una possibile insorgenza di tumore,  è svolto  dal consumo di integratori alimentari a base di queste piante mentre il miele sembra avere una parte marginale, ma quest’ ultimo, se consumato in maniera continuativa e al di sopra di una certa dose può causare a lungo andare effetti di tipo cronico soprattutto nelle fasce di età minori, ancora maggiore se risultano anche essere consumatori assidui.

L’ EFSA ha concluso affermando che esiste una possibile preoccupazione per la salute umana correlata all’esposizione agli alcaloidi pirrolizidinici, in particolare per consumatori di tè e infusi di erbe ma, soprattutto, ha posto l’attenzione al target più giovane della popolazione.

IL REGOLAMENTO 2020/2040 (UE)

Il regolamento (UE) 2020/2040 pubblicato l’11 dicembre 2020 va ad integrare il regolamento (CE) n. 1881/2006 relativo ai contaminati con i tenori massimi di alcaloidi pirrolizidinici ammessi in taluni prodotti alimentari proprio per il crescente problema sottolineato dai vari aggiornamenti dell’EFSA (Tabella 2).

Naturalmente si è tenuto conto del fatto che i prodotti alimentari oggetto del presente regolamento hanno una lunga durata di conservazione, che può arrivare fino a tre anni, e si è quindi disposto un periodo transitorio significativamente lungo durante il quale i prodotti alimentari commercializzati prima della data di applicazione del presente regolamento possano rimanere sul mercato. Pertanto, i prodotti alimentari elencati nell’allegato, immessi legalmente in commercio prima del 1° luglio 2022, possono rimanere sul mercato fino al 31 dicembre 2023. Il presente regolamento si applica a decorrere dal 1° luglio 2022.

E’ auspicabile pensare che questo regolamento sia il punto di partenza per incentivare ulteriormente gli studi anche sui prodotti di origine animale dove in realtà non c’è un vero e proprio rischio tangibile ma, a mio parere,  la ricerca sul  trasferimento di PAs nelle derrate alimentari deve proseguire; non è da escludere che in futuro, con nuove conoscenze acquisite, sarà necessario normare il valore di questi metaboliti anche nei prodotti di origine animale che abitualmente consumiamo o magari saranno necessarie politiche di eradicazione di piante produttrici PAs, attenzionando anche la composizione dei  mangimi e dei pascoli forniti ai DPA.

TABELLA 2: Regolamento (UE) 2020/2040.

                             ALIMENTOTenore max. ppb (μg/kg)
     8.4.1Infusioni a base di erbe (prodotto essiccato) ad eccezione delle infusioni a base di erbe di cui ai punti 8.4.2 e 8.4.4      200
    8.4.2Infusioni a base di rooibos, anice (Pimpinella anisum), melissa, camomilla, timo, menta peperita, verbena odorosa (prodotto essiccato) e miscele composte esclusivamente di tali erbe essiccate ad eccezione delle infusioni a base di erbe di cui al punto 8.4.4      400
    8.4.3Tè (Camellia sinensis) e tè aromatizzati (Camellia sinensis) (prodotto essiccato) ad eccezione dei tè e dei tè aromatizzati di cui al punto 8.4.4      150
    8.4.4Tè (Camellia sinensis), tè aromatizzati (Camellia sinensis) e infusioni a base di erbe per lattanti e bambini nella prima infanzia (prodotto essiccato)       75
    8.4.5Tè (Camellia sinensis), tè aromatizzati (Camellia sinensis) e infusioni a base di erbe per lattanti e bambini nella prima infanzia (prodotto liquido)      1,0
    8.4.6Integratori alimentari contenenti ingredienti vegetali, compresi gli estratti, ad eccezione degli integratori alimentari di cui al punto 8.4.7      400
    8.4.7Integratori alimentari a base di polline (39) Polline e prodotti a base di polline      500
    8.4.8Foglie di borragine (fresche, congelate) immesse sul mercato per il consumatore finale      750
    8.4.9Erbe essiccate ad eccezione delle erbe essiccate di cui al punto 8.4.10      400
   8.4.10Borragine, levistico, maggiorana e origano (essiccati) e miscele composte esclusivamente di tali erbe essiccate     1000
   8.4.11Semi di cumino (spezia in semi)      400

RISCONTRO DEGLI ALCALOIDI PIRROLIZIDINICI NEI PRODOTTI DI ORIGINE ANIMALE

Su sollecitazione dell’EFSA, dal 2015 sono partiti studi sull’ eventuale riscontro degli PAs nei vari prodotti di origine animale; i risultati hanno mostrato che in linea generale i prodotti di origine animale hanno una percentuale di alcaloidi pirrolizidinici molto bassa. I processi metabolici negli organismi degli animali riducono gli PAs ingeriti e probabilmente già gli stessi mangimi somministrati non sono altamente contaminati (Mulder PPJ. et al, 2018).

Tra il 2014 e il 2015 sono stati raccolti un totale di 1105 campioni e analizzati per commissione dell’EFSA (Mulder PPJ. et al., 2015). Questi comprendevano latte e prodotti lattiero-caseari, uova, carne e prodotti a base di carne, tè (a base di erbe) e integratori alimentari (a base di erbe) presi nei supermercati, nei negozi al dettaglio e via internet. Da questo studio è emerso un quadro che vedeva una prevalenza di riscontro di PAs maggiore ne prodotti di origine biologica rispetto a quelli prodotti a livello industriale con una percentuale rispettivamente dell’11% rispetto al 4,3 %. Naturalmente assodato questo dato emerso, non si può affermare che sia una realtà assoluta poiché andrebbero effettuati altri studi in relazione proprio alla differenza di produzione. Questo lavoro comunque ha dato inizio a una serie di studi e monitoraggi sugli alcaloidi pirrolizidinici nei vari prodotti di origine animale per supportare questa teoria; intanto, già da questo lavoro è emerso che solo i campioni di latte, sia vaccino che caprino,  e campioni di uova hanno registrato dei risultati positivi mentre gli altri prodotti come i lattiero-caseari non rilevavano valori al di sopra del LOD (limite di rilevabilità ossia la minima quantità misurabile dalla quale è possibile dedurre la presenza dell’analita con ragionevole certezza statistica) e nessun campione di carne e derivati presentava quantità misurabili di PAs.  

C’ è da dire comunque che le concentrazioni nel latte sono risultate basse, con un range compreso tra 0,05 e 0,16 μg L−1.

Ma gli studi sul latte sono proseguiti ed è emersa un nuovo dato da rilevare, ossia che si riscontrano PAs soprattutto in forma libera rispetto alla forma N– ossido; probabilmente la conversione nella forma base è ad opera del rumine e se lo si era solo ipotizzato, con questi nuovi studi si va verso una consapevolezza. Nel 2011, infatti, Hoogenboom L. et al. (2011), in uno studio sul trasferimento degli PAs presenti nel mangime ai campioni di latte, ha rilevato solo PAs nella forma a base libera e nessun N-ossido; da segnalare che il tasso di riscontro nel latte è risultato comunque relativamente alto (circa il 6%).

In uno tra i più recenti studi condotti sempre sul latte (Mulder PPJ. et al., 2020), è emersa di nuovo questa tendenza ossia la prevalenza di basi libere rispetto agli N-ossidi ma si è confermato di nuovo che il trasferimento di PAs nel latte è minimo e non preoccupante.

Anche nelle uova sembra esserci questa tendenza già notata nel precedente studio sopracitato del 2015: gli PAs in forma libera si sono riscontrati in misura solo del 1% sul totale dei campioni di uova, con una percentuale di concentrazione compresa lo 0,10-0,12 μg kg−1.

Mulder PPJ. et al. nel 2016 ha condotto uno studio sia per analizzare il trasferimento degli alcaloidi pirrolizidinici nelle uova, sia per valutare come gli animali rispondevano alla somministrazione di mangime “contaminato” e sia come questa alimentazione si ripercuotesse sulle carni delle galline. Il mangime per le galline ovaiole oggetto dello studio è stato integrato con 5 piante differenti produttrici di PAs (J. vulgaris, S. vulgaris, S. inaequidens, E. vulgare, H. europaeum) e se ne sono valutati i vari effetti. Il mangime addizionato con Senecio inaequindens con i livelli di PAs più elevati, è quello che ha mostrato i maggiori effetti; innanzitutto le galline hanno ridotto la quantità di mangime ingerito con riduzione del peso corporeo, la percentuale di ovodeposizione è scesa drasticamente e una volta macellate, si è notata una riduzione del peso della carcassa e dello stesso fegato; proprio quest’ ultimo ha mostrato lesioni istologiche importanti come fibrosi periportale o settale, macrocitosi, iperplasia del dotto biliare e formazione precoce di noduli rigenerativi. Probabilmente la riduzione della percentuale di ovodeposizione è da attribuirsi a un potenziale danno epatico, visto l’importante ruolo del fegato nella produzione del tuorlo d’uovo.

Anche nelle uova il livello più alto si è avuto in quelle prodotte dalle galline alimentate con mangime addizionato con Senecio inaquidens (l’89% della somma totale) con una concentrazione circa di 200 µg kg – 1. Viene riconfermata anche qui la tendenza al ritrovamento di PAs soprattutto in base libera con la % maggiore nel tuorlo rispetto all’ albume, forse dovuto al fatto che si formino in tempi differenti (maggiore per il tuorlo).

Lo studio che ha mirato a valutare gli effetti in toto è proseguito con l’ analisi delle carcasse delle galline macellate; se le lesioni al fegato descritte prima hanno mostrato una sofferenza d’ organo importante , i campioni di tessuti hanno confermato la presenza di PAs con la concentrazione maggiore, pari a  67 µg kg – 1 , presente in quelli delle galline alimentate con Senecio inaquidens; i campioni di fegato e reni erano quelli con la percentuale maggiore rispetto a quelli del muscolo mammario. Se questi dati sono relativi agli animali macellati a distanza di 28 giorni dall’ ultima somministrazione di mangime, si è visto che nelle galline macellate invece a distanza di 42 giorni, quindi con due settimane di alimentazione priva di mangime addizionato con piante produttrici di PAs, i metaboliti erano ancora rilevabili nei tessuti degli animali alimentati con Senecio inaquidens, quindi quelli con la più alta esposizione. I livelli di alcaloidi pirrolizidinici nei tessuti erano comunque più bassi di quelli delle uova.

Alla luce di questi studi, i livelli di PAs osservati nelle uova, nelle carni e nei prodotti lattiero-caseari non destano problemi per la sicurezza alimentare poiché il trasferimento nelle derrate alimentari è minimo; ma alla luce dei dati in letteratura che vedono casi di intossicazione del bestiame al pascolo e dati su una ridotta efficienza produttiva come per l’ovodeposizione, la rimozione delle piante aromatiche sia dai campi per la raccolta del fieno da lavorare sia  dai campi usati per l’ alimentazione semibrada o brada può essere una soluzione da tenere a mente per la salute degli animali ma anche per la salute della flora che risente sempre più della presenza di piante infestanti, spesso tra le più grandi produttrici di PAs che deteriorano l’ ambiente e l’ ecosistema già fragile per vari fattori esogeni.

STUDI E DATI SULLA PRESENZA DI PAs NEI PRODOTTI DELL’ ALVEARE

Se la maggior parte degli animali viene a contatto con gli PAs in maniera per lo più accidentale, le api si nutrono direttamente dei frutti delle piante, ne raccolgono nettare, polline e altre sostanze resinose dalla flora, tutti necessari per la loro sopravvivenza e per la produzione dei prodotti derivati dall’ alveare; il contatto con gli alcaloidi pirrolizidinici è quindi inevitabile. Le api bottinatrici sono il collegamento tra l’alveare e la pianta e attraverso il loro prezioso lavoro di raccolta di polline e nettare, producono i grandi frutti dell’alveare, nonché prodotti alimentari che ritroviamo nelle nostre tavole.

Gli studi sui prodotti dell’alveare si sono svolti soprattutto sul miele perché è il prodotto più diffuso e consumato tra tutti anche se per ovvi motivi il polline presenta i livelli più elevati di PAs.

La variabilità dei dati sul miele rispecchia le innumerevoli fonti di polline che le api posso raccogliere, e con esse quelle di nettare e di melata. I dati raccolti, così come per gli altri prodotti di origine animale, delineano un quadro di sicurezza sul loro consumo ma, come anche riportato nei vari report dell’EFSA, nel caso del miele, il problema è rivolto alle fasce più giovani della popolazione dove questo prodotto può avere effetti più che altro di tipo cumulativo laddove il consumo sia in quantità maggiori rispetto alla dose giornaliera raccomandata, con possibili effetti cronici ad insorgenza protratta nel tempo.

PAs NEL POLLINE

La presenza di alcaloidi vegetali nel polline raccolto dalle api può essere un problema per la qualità e la sicurezza alimentare di questo prodotto, quando è usato come alimento per l’uomo.

 È bene precisare che gli alcaloidi possono essere presenti naturalmente nel polline, in funzione del tipo di piante su cui le api sono andate a bottinare.

 Gli alcaloidi infatti sono sostanze prodotte da alcune specie vegetali che possono avere un effetto tossico sull’uomo. Alcuni alcaloidi sono ad esempio la nicotina prodotta dal tabacco, o la codeina prodotta dal papavero da oppio, sostanze che di solito comunque non si trovano nel polline.

 Ricercare e quantificare la presenza degli alcaloidi quindi è importante per determinare la qualità del prodotto, soprattutto in quelle zone dove la presenza di alcune piante visitate dalle api possono costituire una possibile fonte di tali sostanze.

 E recentemente i ricercatori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (Izsve) hanno messo a punto e validato il metodo per ricercare queste sostanze nel polline raccolto dalle api, applicabile anche ad altri prodotti alimentari, come il tè o gli infusi.

Potenzialmente nel polline si possono trovare molti tipi di alcaloidi che sono un ampio gruppo di composti prodotti da diversi tipi di piante molto probabilmente come difesa contro gli erbivori. Sicuramente gli PAs sono stati riscontrati piuttosto frequentemente nel polline, tanto che nel 2016 l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa) ha pubblicato un report sugli alimenti che possono contenere PAs ed il polline è tra i maggiori responsabili.

 Questo ha portato, nel 2020 alla emissione del primo Regolamento Europeo che impone limiti in alcuni alimenti per PAs (Reg. Ue 2020/2040), e gli alimenti normati sono proprio tè e tisane, polline e integratori a base di polline e alcune spezie.

 Per quanto riguarda gli Alcaloidi tropanici vi sono ancora pochi dati a riguardo, infatti il polline non è stato incluso nel Reg. (Ue) 2021/1408 che ha implementato gli alimenti soggetti a limitazione per queste sostanze.

 Gli Alcaloidi tropanici sono probabilmente le tossine naturali più diffuse, presenti in più di 6mila specie vegetali, con oltre 350 molecole diverse. Le principali fonti sono le famiglie delle Boraginaceae (tutti i generi), delle Asteraceae (tribù Senecioneae ed Eupatorieae) e delle Fabaceae (genere Crotalaria). I principali problemi di tossicità cronica e acuta sono a carico del fegato, ma il gruppo di esperti scientifici Efsa ha concluso che gli alcaloidi pirrolizidinici 1,2-insaturi possono agire come cancerogeni genotossici nell’uomo.

 Gli Alcaloidi tropanici si trovano naturalmente in piante di diverse famiglie comprese le Solanacee (soprattutto Atropa belladonna e genere Datura), Erythroxylaceae, Proteaceae, Euphorbiaceae, Rhizophoraceae, Convolvulaceae e Cruciferae. Il gruppo comprende più di 200 composti ma i più noti e studiati sono atropina e scopolamina. Gli effetti tossici sono correlati all’inibizione dei recettori muscarinici dell’acetilcolina nel sistema nervoso centrale e autonomo. I sintomi sono secchezza della mucosa del tratto digerente e respiratorio superiore, stipsi, dilatazione pupillare e disturbi della vista, fotofobia, ipotensione, bradicardia o tachicardia, aritmie, nervosismo e, in caso di sovradosaggio, ipertensione, irrequietezza, irritabilità, disorientamento, atassia, convulsioni e stress respiratorio.

Il polline d’api non ha ancora una normativa completa e specifica riguardo ai suoi parametri di qualità e sicurezza, quali sono i quantitativi massimi di alcaloidi che si possono ritenere accettabili. Il Regolamento (Ue) 2020/2040 della Commissione dell’11 dicembre 2020 che modifica il regolamento (Ce) n.1881/2006 per quanto riguarda i tenori massimi di alcaloidi pirrolizidinici in alcuni prodotti alimentari, stabilisce che in integratori alimentari a base di polline, polline e prodotti a base di polline, il limite massimo di Ap è di 0,5 milligrammi per chilo. Il Regolamento afferma che i prodotti alimentari elencati nell’allegato immessi legalmente sul mercato prima del 1° luglio 2022 possono rimanere sul mercato fino al 31 dicembre 2023. Esso si applica a decorrere dal 1° luglio 2022.

Per quanto riguarda gli Alcaloidi tropanici è stato introdotto di recente il Regolamento (Ue) 2021/1408 della Commissione del 27 agosto 2021 che modifica il Regolamento (Ce) n.1881/2006 per quanto riguarda i tenori massimi di alcaloidi tropanici in alcuni prodotti alimentari, ma il polline non è contemplato.

Il polline d’api comprende una miscela di polline di fiori, nettare e secrezioni salivari d’api; viene utilizzato dalle api per nutrire la covata. Si tratta, infatti, di un alimento benefico che può essere considerato un alimento completo perché contiene proteine, vitamine, grassi, aminoacidi, fibre, enzimi, carboidrati, polifenoli con azione antiossidante; quindi, tutto ciò che lo rende uno tra i migliori integratori utilizzati dall’ uomo. Il polline d’api può essere raccolto installando trappole per polline nell’alveare dall’inizio della primavera fino alla fine dell’estate (di solito da aprile a giugno).

Naturalmente le sue caratteristiche variano in base alle fonti botaniche, alla zona e anche alla stagione di raccolta; lo stesso colore varia in base alla specie da cui è stato raccolto e al suo contenuto di pigmenti. Il polline d’api fresco contiene di base una discreta percentuale di acqua che andrà incontro a una riduzione fino al 4-8 % attraverso un processo di disidratazione che serve per preservarne la qualità e aumentarne la shelf-life.

Oltre ai composti che forniscono effetti benefici per la salute umana, nel polline possono essere presenti tante tossine naturali e gli stessi alcaloidi pirrolizidinici. Gli elevati livelli di PAs e PAs N– ossido riscontrati, sollevano preoccupazioni sul consumo diretto di polline e dei prodotti che lo presentano come ingrediente. Ecco che è stato necessario fissare per il polline e i relativi integratori alimentari un livello massimo di PAs con il Reg. (UE) 2020/2040 a 500 µg/kg per il polline e i relativi integratori alimentari. Allo stesso modo, prima l’EFSA nel 2017, poi confermata dal BFR nel 2020, hanno stabilito, partendo dalla BMDL10 di 237 µg/kg p.c. ottenuta da studi sulla riddelliina nei ratti sulla valutazione dei rischi cancerogeni, un’assunzione massima di 0,024 µg di PA per kg di peso corporeo al giorno, con un MOE pari a 10.000.

Ad oggi, un’ampia varietà sia di PAs/ PAs N– ossido è stata studiata in campioni di polline, sia su quello commerciale, sia su quello raccolto direttamente dai fiori. La grande varietà è data sia dalle diversità chimica ma nel caso del polline è accentuata dalle differenze botaniche, geografiche e anche stagionali che si possono riscontrare. La maggior parte degli studi non riesce a chiarire la quantità individuale degli alcaloidi pirrolizidinici né a identificare i vari pollini (Brugnerotto P. et al., 2021), rendendo difficile valutare la reale situazione.

Kast et al. (2018) hanno condotto tra il 2010 e il 2014 uno studio sul polline proveniente da varie zone della Svizzera; hanno analizzato 32 campioni e il 31% di essi è risultato positivo per presenza di alcaloidi pirrolizidinici. Il contenuto medio di PAs calcolato per i campioni di polline positivi è stato di 319 µg/kg (Tabella 3).

Le fonti principali erano la viperina azzurra e la canapa acquatica che sono entrambe piante ampiamente sviluppate in Svizzera ma anche nel resto di Europa; se, mentre per  la canapa acquatica che ha la fioritura da metà luglio in poi, smettere di raccogliere polline da questo periodo in poi può essere risolutivo, la viperina azzurra fiorisce già a inizio giugno, rendendo il periodo precedente poco indicativo per cessare con la raccolta di polline; di conseguenza si sconsiglia la presenza di grandi superfici fiorite di viperina azzurra in prossimità degli apiari. Naturalmente, piante isolate oppure superfici piccole non rappresentano un problema (Kast C. et al., 2018).

Numero campioni di pollineNumero campioni risultati positivi agli PAsTenore PAs medio nei campioni risultati positivi (µg/kg)Tenore medio in tutti i campioni di polline (µg/kg)
3210 (31%)319100

TABELLA 3: alcaloidi pirrolizidinici nel polline svizzero (Kast C. et al., 2018).

È importante sottolineare che quasi tutti i campioni studiati finora provengono dall’Europa (principalmente dalla Germania) e considerando l’alto numero di campioni positivi, vi è la necessità di progressi negli studi sul polline e suoi prodotti anche in altri paesi per avere un quadro della situazione sempre più chiaro.

Da qui l’invito agli apicoltori a sottoporre il polline prodotto dalle api ad un’analisi preventiva, qualora si sospetti che ci sia presenza di piante produttrici di alcaloidi pirrolizidinici intorno agli apiari

PAs NELLA PROPOLI

La propoli è prodotta dalle api operaie che raccolgono secrezioni resinose dalle gemme di alcune piante e le mescolano con saliva e cera d’api. Viene utilizzato dalle api come materiale da costruzione (soprattutto per chiudere fessure e impedire l’ingresso di altri insetti), come antisettico nelle cellette dei favi. Se ne elencano numerose proprietà terapeutiche, come attività antibatteriche, antiossidanti (flavonoidi), antinfiammatorie e proprio per questo è tra i prodotti più consumati a scopo terapeutico

La presenza nella propoli di PAs è segnalata, ma alla luce dei pochi lavori in letteratura, si possono trarre solo conclusioni superficiali.

PAs NELLA PAPPA REALE

La pappa reale è un prodotto secreto dalle ghiandole ipofaringee e mandibolari delle api nutrici. Questo prodotto dell’alveare viene utilizzato per nutrire le larve delle api ed è il cibo dell’ape regina per tutta la sua vita. È un alimento benefico poiché contiene acqua, aminoacidi essenziali, zuccheri, lipidi, minerali e vitamine soprattutto del gruppo B; in letteratura si parla anche di una frazione “sconosciuta” nella sua composizione, con particolari componenti individuati ma non ancora identificati. Tutti questi dati la rendono una prodigiosa sinergia impossibile da riprodurre in laboratorio. Tuttavia, la presenza di PAs può causare uno squilibrio tra gli effetti benefici e eventualmente dannosi che il consumo di pappa reale. Anche per la pappa reale, in letteratura sono riportati pochi lavori.

PAs NEL MIELE

Le api della specie Apis mellifera sono le produttrici della maggior parte del miele prodotto nel mondo. Per miele si intende: “la sostanza dolce naturale che le api (Apis mellifera) producono dal nettare o dalle secrezioni provenienti da parti vive di piante o dalle sostanze secrete da insetti succhiatori che si trovano su parti vive di piante che esse bottinano, trasformano, combinandole con sostanze specifiche proprie, depositano, disidratano, immagazzinano e lasciano maturare nei favi dell’alveare” (Art. 1 D. Lgs. 21-05-04 n. 179). La produzione di miele alimentare avviene nelle arnie e le materie prime sono il nettare e la melata.

Se il nettare è la principale fonte alimentare delle api ed è prodotta da particolari organi ghiandolari chiamati nettari presenti nella pianta, la melata si trova solo su alcune piante per intervento di insetti parassiti che succhiano la linfa delle piante e ciò che elimina, per lo più la componente zuccherina, va a formare la melata; le api la raccolgono e formano il miele.

È importante notare che anche nel miele gli alcaloidi pirrolizidinici sono presenti principalmente come base libera. Si ipotizza che, come negli studi sui ruminanti e le galline precedentemente elencati, la riduzione dell’N-ossido può verificarsi nel sistema digerente delle api (Reinhard A. et al., 2009).

Nel corso degli anni sono stati condotti molti studi conoscitivi e di monitoraggio sul miele da parte di tanti Stati, sia su commissione dell’EFSA sia da gruppi di ricerca nazionali.

TABELLA 4: Riassunto schematico deirisultati sugli alcaloidi pirrolizidinici nei campioni di miele (Martinello M. et al., 2014).

      PAs monitoratiOrigine e Range µg/kgCampioni positivi
Echimidina, senkirkina   senecionina, licopsaminaITA, n= 17 Concentrazione n.d.  53%
senecioninaUE, n=22; concentrazione da 1-28 µg/kg50%
intermidinaUE/ EXTRA UE, n=31; concentrazione da 40-172 µg/kg77%

Ricordiamo che gli alcaloidi pirrolizidinici sono metaboliti secondari prodotti da alcune specie vegetali e, quindi, oltre all’origine botanica, le condizioni climatiche e ambientali, anche lo stadio di crescita delle piante, sono fattori che possono influenzare la composizione e la concentrazione di questi composti (Bodi D. et al., 2014). Sebbene gli apicoltori conoscano le fioriture intorno ai loro apiari, l’analisi del polline nei mieli, oltre che a semplice scopo conoscitivo sulla flora visitata dalle api, può essere una risorsa fondamentale per identificare quali specie hanno contribuito alla presenza di PAs nel prodotto e magari aiutare gli stessi apicoltori nel management.

Nonostante i lavori sul miele siano in gran numero, le informazioni sulle origini botaniche sono limitate. Nello studio condotto da Zhu L. et al. (2018), è stata fatta anche l’analisi sul polline che ha rilevato pollini di Echium vulgare, Echium plantagineum, Cynoglossum officinal che appartengono alla famiglia delle Boragiaceae, e Senecio spp., e Tussilago spp. che appartengono alla famiglia delle Asteraceae. Tra i 120 campioni di miele analizzati, il 58% conteneva PAs con un intervallo di concentrazione compreso tra 0,04 e 288,07 μg/kg. La licopsamina e l’echimidina sono state determinate come gli alcaloidi predominanti e le loro potenziali fonti botaniche, sono state identificate mediante analisi del polline.

Bisognerebbe confrontare il profilo di alcaloidi pirrolizidinici riscontrate nelle piante intorno gli apiari e confrontarlo con l’eventuale profilo che si rileva nel miele, facendo su di esso un contemporaneo esame del polline per verificare l’origine botanica ma nella pratica è difficile da realizzare.

Secondo lo studio condotto da Jesus MC. et al. (2019), la pianta prevalente usata come fonte floreale dalle api era l’Heliotropium amplexicaule in base ai profili dei diversi PAs identificati, tuttavia, i livelli di alcaloidi pirrolizidinici erano presenti con una concentrazione < 2 µg kg -1, quindi estremamente bassa ma confermano che in Australia l’eliotropio è una pianta invasiva che minaccia la loro produzione di miele.

In un recente studio tutto italiano del 2021, Lucatello L. et al hanno valutato il profilo di contaminazione di 17 alcaloidi pirrolizidinici e dei loro metaboliti N-ossido in 775 campioni di miele raccolti da apicoltori locali italiani ma anche quelli di origine italiana ed estera venduti al dettaglio e online. Il 52% dei campioni di miele conteneva i 17 composti monitorati al di sotto del limite di quantificazione. I campioni di miele locale sono stati caratterizzati da una concentrazione media totale di alcaloidi pirrolizidinici rispettivamente inferiore a quella dei campioni commerciali. L’echimidina è stato l’alcaloide più riscontrato nei campioni di miele provenienti dai grandi negozi al dettaglio (75,8 % e 72,5 % di campioni italiani ed esteri, rispettivamente). I campioni di miele locale invece hanno mostrato un profilo prevalente di tipo senecionina, fornendo agli apicoltori indizi importanti sulle piante coinvolte. I risultati hanno mostrato che, a dispetto di quello che aveva attenzionato l’EFSA nei suoi report, il consumo dei campioni di miele locale o anche definito “grezzo” non rappresenta un rischio maggiore per la salute umana rispetto al consumo di prodotti della grande distribuzione.

Un modo per ridurre al minimo l’esposizione degli animali agli alcaloidi pirrolizidinici potrebbe essere l’introduzione di piante di mitigazione, cioè piante alternative a capacità mellifera che fioriscono contemporaneamente a cui le api possano attingere.

Gli studi sulla stabilità di PAs nei campioni di miele sono ancora scarsi.  Kaltner et al. (2018) hanno osservato una diminuzione del 20% PAs nella forma N-ossido nei mieli conservati per un giorno a 20 °C quindi in poche ore, mentre i livelli di PAs e N-ossido sono rimasti stabili per 182 giorni a questa stessa temperatura nei campioni di fieno e menta. Anche se non è chiaro quando inizi la diminuzione dei livelli dei PANO nel miele, Kaltner et al. (2018) suggeriscono che potrebbe essere correlato all’attività enzimatica degli enzimi contenuti nel miele.

È necessario effettuare studi tossicologici, principalmente in vivo, per verificare che la concentrazione di alcaloidi pirrolizidinici nel miele possa rappresentare un reale rischio di intossicazione e anche studiare la loro presenza durante il periodo di conservabilità, come anche negli estratti vegetali il cui processo di cottura non va ad eliminare la loro presenza.

Inoltre, qualora fosse necessario è presente il sistema di allerta rapido per alimenti e mangimi (RASFF), che consente di condividere le informazioni in modo efficiente tra vari Stati Membri e di garantire una risoluzione rapida quando vengono rilevati rischi per la salute pubblica nella catena alimentare. Ad oggi, il RASFF ha emesso una sola notifica (2016 – Dettagli notifica – 2016.1484) su PAs (454,9 µg kg −1) nel miele del Messico. È stata considerata un’allerta, notificata dalla Germania e classificata come di rischio grave.

È importante sottolineare, oltre al monitoraggio costante nei mieli floreali, gli studi nei mieli di melata sono quasi nulli a riguardo.

Il monitoraggio costante dei livelli di questi composti è fondamentale anche per promuovere la qualità del miele, e le sue politiche di rafforzamento della filiera apistica, con l’incentivo a sfruttare specie vegetali alternative con un basso contributo di alcaloidi pirrolizidinici nel polline.

CONCLUSIONI

Gli 1,2 PAs insaturi sono un gruppo eterogeneo di metaboliti a cui molti prodotti di origine vegetale, nonché prodotti di origine animale soprattutto i prodotti dell’alveare, possono risultare dannosi per la salute dell’uomo e dell’animale.

Alla luce dei numerosi studi, si rafforza l’importanza del monitoraggio di questi composti in vari alimenti, soprattutto nei prodotti dell’apicoltura; oltre alla cera d’api, di cui non si conoscono studi, sono urgenti studi sui mieli di melata che fino ad adesso sono rimasti esclusi da questi monitoraggi.

Se la posizione di alcuni Stati Europei è addirittura quella di vietare il consumo alimentare di piante produttrici di PAs, si dovrebbe incentivare la ricerca e dare supporto ai vari gruppi di ricerca nazionali.

Il consumatore, dall’ altro canto nel suo piccolo, può limitare e/o ridurre il consumo di miele nella fascia più giovane della popolazione (sotto l’anno di età andrebbe comunque evitato per il rischio legato al Clostridium Botulinum) riducendo così la possibile esposizione; preferire mieli di origine italiana che ad oggi sembrano essere più “sicuri” rispetto agli altri, cercando anche di variarne anche la tipologia.

Gli apicoltori, a loro volta, devono porre attenzione sulle zone di raccolta del polline, tenendo presente la stagionalità delle piante e i dati su vari pollini come quello di Borragine selvatica che evidenziano un alto contenuto di PAs , così come quelli di Viperina azzurra, evitando di esporre gli apiari in queste zone.

Dall’ altro canto è essenziale un’opera di monitoraggio anche della flora autoctona e alloctona, mettendo su anche opere di eventuale eradicazione per ridurre al minimo l’esposizione di api e di animali al pascolo a piante potenziali produttrici di alcaloidi pirrolizidinici.

E non da ultimo si deve continuare a lavorare in ottica “ONE HEALTH” perché la salute dell’ambiente, quella degli animali e quella dell’uomo sono indissolubilmente legate tra loro; gli equilibri dell’ecosistema sono sempre più fragili a causa di specie “infestanti” che turbano la stabilità ambientale e tutto si ripercuote sugli animali che vivono questi cambiamenti e con essi l’uomo che direttamente e indirettamente deve fronteggiare questa realtà dove si ritrova coinvolto.

Bibliografia disponibile presso gli autori e la redazione