L’Age Management entra in Sanità. Con il nuovo contratto di lavoro approvato qualche giorno fa proprio per il comparto sanità del Servizio Sanitario Nazionale,  prevedendo all’articolo 49 l’attuazione delle politiche e pratiche aziendali volte a gestire in modo efficace le differenze generazionali nel luogo di lavoro, saranno valorizzate le competenze e il potenziale di tutti i dipendenti, indipendentemente dalla loro età.

Si creerà, in questo modo, un contesto inclusivo che favorisce lo scambio intergenerazionale, l’apprendimento reciproco e la collaborazione tra diverse fasce d’età, senza interferire con eventuali patologie croniche extralavorative.

Non è solo una clausola burocratica: è un potenziale strumento di trasparenza e responsabilizzazione, che potrebbe finalmente dare visibilità agli sforzi (o alle inadempienze) delle singole aziende rispetto a un tema troppo spesso ignorato.

Per gli operatori sanitari, tra i più esposti a turni massacranti e usura fisica e mentale, l’articolo 49 può rappresentare una svolta, ma solo se applicato in modo coerente e uniforme su tutto il territorio. Servirà la volontà politica delle direzioni aziendali, ma anche il ruolo attivo dei sindacati e delle organizzazioni professionali per fare in modo che queste misure diventino prassi e non eccezione.

L’articolo 49 apre una porta importante: quella della sanità che riconosce il valore delle sue persone, non solo nei primi anni di carriera, ma fino all’ultimo giorno di servizio. Ora resta da vedere se il sistema sarà in grado di attraversarla.

L’innalzamento dell’età pensionabile porta a una serie di cambiamenti all’interno delle imprese, legati sia a problemi di incompatibilità con alcune mansioni, come quelle che richiedono lavoro fisico, sia a dinamiche relazionali tra generazioni molto diverse tra loro, che si trovano a condividere lo stesso ambiente professionale.

In Europa, secondo i dati dell’Agenzia Europea della Salute e Sicurezza sul Lavoro, si stima che il 30% degli uomini e delle donne nella fascia d’età compresa tra 50 e 64 anni necessita di un adeguamento urgente del posto di lavoro, per prevenire i rischi di pensionamento anticipato e di inabilità al lavoro.

Con la Direttiva 2000/78 dell’UE, recepita in Italia con il Decreto Legislativo n. 216 del 2003, si stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, vietando le discriminazioni basate sull’età, senza fissare un limite anagrafico rafforzando e rilanciando la funzione del disability/diversity manager nella individuazione di soluzioni per i lavoratori avanti negli anni.

Le parti sociali europee, inoltre, si sono impegnate, con l’accordo quadro autonomo sull’invecchiamento attivo e l’approccio intergenerazionale siglato nel 2017, a facilitare una partecipazione attiva e una permanenza più lunga sul mercato del lavoro dei lavoratori più anziani.

Dall’audizione del presidente INAPP, Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche,  Natale Forlani alla Commissione parlamentare d’inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica, di circa un mese fa, di cui ne riportiamo alcuni passaggi, secondo noi, più significativi, viene fuori un’analisi attenta i cui contenuti sono interessantissimi anche per il comparto sanità, soprattutto quando viene sottolineato che nel nostro Paese non  è stata ancora sviluppato un sistema coerente di politiche e strategie che consenta di riconoscere un approccio efficace di age management. Occorre muoversi su due direttrici.

“Da una parte, rileva il presidente Forlani, occorre avviare politiche pensionistiche per salvaguardare il pilastro previdenziale, restringendo gli schemi di ritiro anticipato e innalzando progressivamente l’età di pensionamento insieme a politiche attive che possano attivare quella quota di popolazione, circa 1,4 milioni di adulti, soprattutto giovani che oggi non studiano, non lavorano e non cercano un’occupazione, i cosiddetti Neet.

Accanto a questo, aggiunge, occorrono misure efficaci per integrare nel mercato del lavoro la quota più grande di risorse non impiegate: le donne.

Di fronte a questo scenario, occorre agire subito su due assi strategici:

  1. Rigenerazione della popolazione attiva

Attivare gli inattivi: a partire da 7,8 milioni di donne tra i 15 e i 64 anni oggi fuori dal mercato del lavoro, di cui oltre 1,2 milioni disponibili a lavorare. Nelle regioni del Sud, la quota di inattive disponibili supera il 23% (Campania e Sicilia).

Ridurre i fattori di scoraggiamento: l’80% delle inattive nelle fasce centrali d’età cita motivi di cura familiare, mentre circa metà accetterebbe un impiego anche per salari inferiori a 1.000 euro netti mensili (e nello specifico il 21% fino a 600 euro e il 27,8% fino a 999 euro). Il 18,5% richiederebbe 1000 euro, il 19,5% tra i 1001 e i 1499 e il 13,1% 1500 euro e oltre.  Più si eleva il titolo di studio, più le donne vorrebbero un’occupazione in linea con le proprie competenze o con il salario che ritengono adeguato, ma tra le inattive con figli e senza figli, sono le madri a mostrare un margine di compromesso più alto.

Invecchiamento attivo: oggi il 54,9% degli occupati ha più di 45 anni. Servono politiche di “terza e quarta generazione” per prolungare volontariamente la vita lavorativa – formazione continua, age management, flessibilità e sicurezza – valorizzando competenze ed esperienza dei lavoratori maturi.

2.“Sostenibilità della spesa sociale

Differenziare le politiche della terza età, distinguendo tra anziani attivi e oltre 4 milioni di over 65 non autosufficienti, di cui solo il 7,6% assistito in RSA e il 30,6% con assistenza domiciliare integrata

Potenziare i servizi di prossimità: oggi la spesa pubblica per prestazioni sociali è pari a 587,5 miliardi di euro (59,3% della spesa corrente), ma solo 57,1 miliardi vanno all’assistenza sociale e meno della metà in servizi diretti.

Riformare l’assistenza alla non autosufficienza, valorizzando il ruolo dei non autosufficienti anche come consumatori di spesa sociale, e promuovere la de-istituzionalizzazione in linea con la legge 33/2023 e le riforme PNRR.

Questa “doppia strategia” – rigenerazione della forza lavoro e sostenibilità del welfare – richiede un cambio di passo immediato: politiche coordinate che superino interventi frammentari, valorizzino le competenze delle generazioni mature e sostengano l’ingresso di giovani e donne nel mercato del lavoro. Come INAPP – ha aggiunto Forlani – siamo impegnati nello studio degli effetti della transizione demografica sul mercato del lavoro e sull’inclusione sociale, con particolare attenzione al fenomeno dell’invecchiamento attivo, in prospettiva internazionale.

Domenico Della Porta – Disability Manager