La Ministra della disabilità Alessandra Locatelli ha precisato che tale operatore prenderà parte alla Valutazione multidimensionale per le persone con disabilità prevista dal D.Lgs. 62/2024
Il Caregiver è considerato “accomodamento ragionevole” anche nell’ambito delle attività lavorative, alla luce del D.Lgs.62/2024, in quanto rientra nel novero delle modifiche e degli adattamenti necessari e appropriati che il datore di lavoro è chiamato ad adottare purchè non impongono allo stesso datore di lavoro pubblico o privato un onere sproporzionato ed eccessivo. L’obiettivo è quello di garantire alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio dei diritti civili e sociali.
La Ministra della Disabilità Alessandra Locatelli, nel corso dell’audizione alla Commissione Parlamentare Affari Sociali di qualche giorno fa, nell’illustrare la proposta di legge per consentire il riconoscimento di questo importante operatore, ha sottolineato, tra l’altro, come la sua funzione si intreccia nella procedura prevista dal predetto decreto, soprattutto nel momento in cui si avvia la valutazione mutidimensionale per la programmazione del progetto di vita e del piano assistenziale individuale previsti dall’articolo 18 del decreto.
“Ci sono indubbiamente ancora diversi nodi da sciogliere, ha detto Alessandra Locatelli, ma la nostra intenzione resta quella di dare una risposta in tempi ragionevoli in considerazione del ruolo che rivesta il caregiver nelle organizzazioni di molte famiglie italiane con ripercussioni dirette o indirette sulle attività lavorative.”
Secondo il Servizio studi della Camera dei Deputati, la figura del caregiver familiare (letteralmente “prestatore di cura”) individua la persona responsabile di un altro soggetto dipendente, anche disabile, di cui si prende cura in un ambito domestico. È colui che organizza e definisce l’assistenza di cui necessita una persona, anche congiunta, e in genere è un familiare di riferimento. Si distingue dal caregiver professionale (o badante), rappresentato da un assistente familiare che accudisce la persona non-autosufficiente, sotto la verifica, diretta o indiretta, di un familiare.
In una ordinanza dell’anno scorso la Corte di Cassazione, in accoglimento di un ricorso, ha ritenuto direttamente applicabile il principio affermato nella sentenza della Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 17 luglio 2008 C-303/06, ECLI:EU:C:2008:415, (nota anche come sentenza Coleman), secondo cui il divieto di discriminazione non è limitato alle sole persone che siano esse stesse disabili, ma si estende anche a coloro che li assistono, riconoscendo indirettamente tale condizione come accomodamento ragionevole.
Nell’ordinanza in commento, la Cassazione, censurando la sentenza di secondo grado per non aver esaminato il caso in chiave di discriminazione diretta (o anche indiretta), ha applicato il principio secondo cui qualora un datore di lavoro tratti un lavoratore, che non sia esso stesso disabile, in modo sfavorevole rispetto al modo in cui è stato trattato o sarebbe stato trattato un altro lavoratore in una situazione analoga che non sia portatore del medesimo fattore di protezione, e sia provato che il trattamento sfavorevole, di cui il lavoratore è vittima, è causato dalla disabilità – in questo caso – del coniuge, al quale presta assistenza sanitaria e familiare, un siffatto trattamento viola il divieto di discriminazione diretta.
Dalla pronuncia sopra richiamata si ricava che anche il caregiver è uno degli strumenti, unitamente a quelli già citati, attraverso cui garantire e perseguire le finalità di tutela del disabile stesso, elencate sia dall’art. 1, della legge n. 104/1992, e sia dalla Direttiva 2000/78/CE: ne consegue che le discriminazioni poste in essere a danno del caregiver si traducono in un ostacolo al pieno godimento dei diritti del disabile ed integrano una discriminazione diretta fondata sul fattore della disabilità/handicap.
Sempre la Cassazione, intervenendo in un’altra situazione, pressochè simile, prosegue il ragionamento sostenendo che se fosse accolta un’interpretazione estensiva della normativa dell’Unione, con il riconoscimento al caregiver familiare di un minore disabile, del diritto di agire anche contro le discriminazioni indirette patite sul luogo di lavoro in ragione delle cure prestate a tale disabile, sarebbe necessario chiarire se la tutela così riconosciuta comporti la nascita, a carico del datore di lavoro del caregiver, dell’obbligo di adottare soluzioni ragionevoli per garantire, anche in favore dello stesso, il rispetto del principio della parità di trattamento nei confronti degli altri lavoratori, sul modello di quanto previsto per le persone con disabilità dall’art. 5 della Direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000.
Infine, ove al caregiver familiare di un minore disabile fosse attribuito il diritto di agire anche contro le discriminazioni indirette patite sul luogo di lavoro in ragione delle cure prestate a tale disabile, sarebbe doveroso definire la nozione di caregiver rilevante ai fini dell’applicazione della Direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000.
Ecco uno dei motivi per cui occorre definire con legge la figura del caregiver per evitare l’insorgere della questione se lo stesso caregiver possa essere qualunque soggetto, appartenente alla cerchia familiare o convivente di fatto, che si prenda cura in un ambito domestico, anche informalmente, in via gratuita, quantitativamente significativa, esclusiva, continuativa e di lunga durata, di una persona che, in ragione della propria grave disabilità, non sia assolutamente autosufficiente nello svolgimento degli atti quotidiani della vita o se, invece, la definizione di caregiver in questione sia più ampia o più ristretta.
Domenico Della Porta – Referente nazionale Federsanità per la salute e sicurezza degli operatori sanitari.