Massimo Pizzichini, Genelab-srl

Claudio Mucciolo, ASL di Salerno, Dipartimento di Prevenzione – Direttore f.f. UOC Igiene e Sicurezza Alimenti di O. A.

L ’acqua è sempre più indispensabile per la nostra sopravvivenza e per quella del pianeta. La lotta ai cambiamenti climatici è ormai aperta in tutto il mondo e richiede soluzioni immediate prima che sia troppo tardi. Il problema della siccità non è solo una prerogativa dell’Africa o dei paesi del medio oriente ma interessa tutta l’Europa e il nostro paese in particolare.

1. Introduzione

La siccità è una condizione meteorologica naturale e temporanea in cui si manifesta, per un tempo lungo su un’area sufficientemente vasta. Essa consiste in una sensibile riduzione della quantità di precipitazioni rispetto ai valori normali, tale da determinare, in relazione alla sua durata e severità, significativi effetti negativi sull’ecosistema (1).

Il problema della siccità riguarda l’intero pianeta di 8 miliardi di persone e costituisce una minaccia allo sviluppo e alla sopravvivenza (2), ma coinvolge anche la nostra comunità. La gravità della situazione è tale da provvedere subito alla integrazione idrica per il nostro sistema produttivo, per l’agricoltura in particolare.

Sono ormai evidenti gli effetti delle mutazioni del clima come la forte riduzione dei ghiacciai o l’aumento dei livelli degli oceani che vanno ben oltre le normali variazioni climatiche. Uragani, inondazioni spaventose come quelle di Valencia ed anche delle nostre regioni padane, a fronte di una estensione territoriale dei fenomeni di siccità. La carenza idrica è ormai generalizzata sul nostro pianeta per una serie di motivi. Il rapido incremento demografico della popolazione mondiale unitamente ai cambiamenti climatici in atto, farà sì che entro il 2030, quasi la metà di tale popolazione si ritrovi a vivere in una situazione di grave carenza d’acqua, per via del conseguente aumento vertiginoso del fabbisogno idrico per il consumo umano, l’agricoltura e l’industria.

É stimato che la domanda totale di acqua sarà più che raddoppiata nel 2050. Le riserve di acqua dolce del pianeta, sfruttabili per il consumo umano ed esigenze irrigue, costituiscono appena il 2,5 % del volume complessivo delle acque che ricoprono il Pianeta (3). L’agricoltura consuma il 70 % delle acque dolci ed è anche la più penalizzata dalla carenza idrica, quindi è necessario mettere in atto tutti i mezzi per combattere la siccità che nel nostro Paese assume aspetti preoccupanti come mostrano le due cartine dell’ISPRA in Fig.1.

Fig.1 riduzione della disponibilità di risorsa idrica nel nostro paese.

Fig.1 riduzione della disponibilità di risorsa idrica nel nostro paese.

A fronte di questo problema è necessario porre subito in atto una politica di lotta mirata al recupero e riutilizzo della risorsa idrica da impiegare nei comparti industriali e civili. Ad esempio alcune industrie come quella delle cartiere consuma quantitativi d’acqua ingenti (migliaia di m3/giorno) al punto che nel comune di Porcari (LU) dove sorge un grande polo dell’industria delle cartiere il suolo si va gradualmente abbassando a causa degli emungimenti idrici dal sottosuolo. In questo comparto il recupero idrico sarebbe quanto meno auspicabile, come dimostrato sperimentalmente (4) ma le imprese, di fatto, non pagano l’acqua in barba all’ambientalismo.

2. Soluzioni per combattere la siccità

Ci sono soluzioni pratiche per combattere la siccità, le più importanti sono:

  • eliminazione o riduzione delle perdite delle nostre reti idriche;
  • razionalizzazione degli impianti di captazione delle acque piovane e impermeabilizzazione degli invasi; grandi (dighe) e piccoli (piscine, laghi, ecc.)
  • riciclaggio delle acque reflue dei depuratori dopo trattamento di filtrazione (ultrafiltrazione e microfiltrazione);
  • dissalazione delle acque di mare con tecnologie di osmosi inversa.

Le due prime raccomandazioni sono talmente ovvie che non richiedono ulteriori approfondimenti ma bisogna intervenire al più presto per tamponare lo spreco idrico di acque spesso potabili. Il buon senso suggerisce di migliorare tutte le fasi di captazione e distribuzione eliminando le perdite delle tubazioni, spesso troppo vecchie e corrose, inoltre vanno migliorate le condizioni di impermeabilizzazione degli invasi. Tutto questo richiede solo una buona manutenzione ed un controllo accurato degli impianti. Invece, il riutilizzo, previo trattamento delle acque reflue soprattutto civili e industriali richiede interventi tecnici mirati alla rimozione dei contaminanti, rispettando le normative vigenti sul tema dello scarico nei corpi idrici recettori e consentendo un secondo impiego della risorsa soprattutto per l’agricoltura. Il Decreto ministeriale 152/2006 regola l’impiego agricolo, unitamente all’articolo 7 del Decreto siccità, legge 39/2023. Quest’ultima legge, molto recente che impegna tutte le Regioni italiane dimostra che il legislatore si rende conto della difficoltà degli agricoltori soprattutto nella stagione estiva e propone delle soluzioni normative meno restrittive delle precedenti. Tuttavia i limiti per il controllo degli organici riguardano in sintesi la carica microbica dove i coliformi devono essere inferiori a 10 unità formanti colonie (UCF)/100 ml, la legionella deve essere inferiore a 1000 UFC; la torbidità deve risultare inferiore a 5 NTU (unità nefelometrica), l’azoto deve essere inferiore 14 mg/L. Vedi tabella 1.

Un parametro fondamentale della qualità delle acque ai fini dello scarico è il COD (Chemical Oxigen Demand) il cui valore per lo scarico sui fiumi deve essere inferiore 160 ppm di O2, e inferiore a 500 ppm per lo scarico in fognatura. Questi sono i parametri organici principali che caratterizzano la qualità delle acque. In Italia sono disponibili tecniche e impianti di trattamento delle acque urbane in uscita dai depuratori, ai fini del ricircolo e riuso delle stesse. E’ auspicabile che l’impiego irriguo possa superare i limiti attuali di composizione chimica specialmente per l’azoto, il fosforo, il calcio e altri elementi non dannosi per il terreni.

2.1 Riutilizzo delle acque reflue dai depuratori

Che volumi d’acqua si potrebbero recuperare dagli scarichi dei depuratori industriali e civili? Avanziamo alcune ipotesi partendo dagli scarichi civili, ipotizzando che quelli industriali potrebbero essere un terzo. Sono almeno 40 milioni gli abitanti delle città italiane, quelle che dispongono di impianti di depurazione a fanghi attivi. Considerando che una persona consuma in media 200 L/giorno d’acqua che finisce nei depuratori, si ottiene un volume di circa 8 milioni di m3 /giorno. Dal comparto industriale si potrebbero recuperare circa 2 milioni di m3/giorno, per un totale di 10 milioni. Un volume del genere costituirebbe un consistente contributo per combattere la siccità nel comparto agricolo italiano ma anche del settore industriale, dove l’acqua viene spesso impiegata (sprecata) nelle torri di raffreddamento degli impianti. Applicando tecniche di trattamento post depurazione delle acque reflue, come quelle di filtrazione tradizionali o tangenziali (membrane) (5) per la rimozione della carica microbica e di specie chimiche tossiche come pesticidi e metalli pesanti, si ottiene un’acqua riutilizzabile. La tabella 1 riporta le concentrazioni limite di rilascio sui fiumi, secondo le specifiche della legge 152/2006 (Parte terza, Allegato 5, Tabella 3).

ParametriConcentrazione (mg/L)
BOD 5<40
COD<160
Azoto NH4< 15
Alluminio< 2
Arsenico< 0,5
Bario<2 0
Cadmio< 0,02
Cromo totale< 4
Cromo VI< 0,2
Ferro< 2
Mercurio< 0,005
Nichel< 2
Piombo< 0,2
Rame< 0,1
Selenio< 0,03
Stagno< 10
Zinco<0,5

Tabella 1: limiti di rilascio delle specie chimiche nelle acque (legge 152/2006)

Tecniche di filtrazione del tipo microfiltrazione (MF), ultrafiltrazione (UF) e nano filtrazione possono essere applicate per riportare le acque dentro i limiti di rilascio sui corpi idrici di scarico. Oggi le tecniche di filtrazione tangenziale, di cui sopra, garantiscono una produzione di acqua a specifica di normativa ambientale ed inoltre consentono di ridurre i dosaggi chimici come quelli a base di ipoclorito di sodio che certo non sono un toccasana per l’ambiente. I costi di raffinazione sono ormai contenuti in base alle migliori prestazioni delle membrane e alla gestione automatizzata e controllata degli impianti, assicurano la massima efficienza e sicurezza degli scarichi.

Queste acque sono anche ricche di nutrienti per il terreno (azoto, fosforo, calcio, magnesio ecc.) e quindi possono apportare un prezioso nutrimento per tutte le colture vegetali, evitando la dispersione nei fiumi prima e poi nel mare con effetti dannosi sull’eco-sistema.

A tale proposito riportiamo un “case studi” rappresentativo per il nostro territorio per alimentare le acque di un laghetto, in fase di prosciugamento, come quello di Monterosi (VT). Questo studio segue un precedente lavoro di progettazione eseguito per il lago di Bracciano-Anguillara (6). Recentemente è stato progettato un impianto di ultrafiltrazione dall’Ing. Massimo Bongianni della Società B&P Water Technologies per trattare le acque reflue del locale depuratore civile di Monterosi che ha una portata di 450 m3/giorno. Si tratta di impianto compatto e automatizzato di (UF) che impiega 6 moduli di membrane polimeriche a spirale avvolta (Tory) con taglio molecolare do 0,02 micron, ha una superficie filtrante di 540 m2 che assicura una portata di filtrato di 40 m3/h. La potenza installata è di 5 kW ed il costo chiavi in mano è di 118.000 €. L’acqua prodotta dall’impianto sarà iposalina, priva di inquinanti e di carica microbica, quindi ideale per dare nuova vita al laghetto.

2.2 La dissalazione delle acque salmastre e marine.

Nel mondo la capacità di dissalazione installata è di circa 99 milioni di m3/giorno secondo il più recente censimento 2024 dell’International Desalination and Reuse Association (IDRA).

Quando la raccolta e la filtrazione delle acque reflue non è disponibile come in alcune realtà del nostro territorio come le isole è necessario applicare le tecniche di dissalazione partendo ad esempio dalle acque del mare che sono inesauribili. Attualmente la desalinizzazione dell’acqua marina è impiegata regolarmente in 183 Paesi nel mondo; la metà degli impianti dissalatori globali è attualmente installata nel Medio Oriente. A livello europeo, il Paese con il maggior numero di impianti di desalinizzazione è la Spagna, che nel 2021 ne contava circa 765. L’Arabia Saudita, da parte sua, ricava dall’uso dei dissalatori circa il 50% della propria acqua potabile.

Il Decreto legge n. 60, Maggio 2022 detto “Save the Sea” pone le basi giuridiche per la salvaguardia marina, in particolare riporta le normative idonee alla costruzione degli impianti di dissalazione, alla gestione delle biomasse marine alla rimozione delle plastiche e dei residui solidi. La valutazione di impatto ambientale (VIA) è regolata dal Decreto Legislativo (152/2006,) che fissa i limiti di rilascio delle specie inorganiche (vedi tabella 1) nel rispetto della salvaguardia ambientale. Le caratteristiche dell’impatto del VIA include le applicazioni su larga scala agli impianti di dissalazione.

In Italia ci sono circa 461 impianti di dissalazione che assicurano una produzione di circa 712.000 m3/giorno, sparsi sul territorio nazionale come mostra la figura 2, Blue Box (7). Gli impianti italiani sono prevalentemente di piccole dimensioni, con il 61,2% caratterizzato da una capacità depurativa inferiore a 1.000 m3/giorno e utilizzati a fini industriali per il 68,3% del totale. Inoltre, il 50,9% del totale è stato costruito prima del 2000, un dato che offre rilevanti opportunità di miglioramento, soprattutto se rapportato alla vita utile di circa 30 anni degli impianti. Una nuova vita al settore è stata offerta dal Decreto Siccità del 13 giugno 2023, che prevede uno snellimento dell’iter burocratico associato alla costruzione degli impianti di dissalazione. L’opportunità è già stata colta dalla Regione Puglia, che prevede la costruzione entro la metà del 2026 di un nuovo impianto di dissalazione OI di acqua salmastra da 55.400 metri cubi al giorno a Taranto.

Fig.2: localizzazione degli impianti di dissalazione in Italia

La maggior parte degli impianti è localizzata sulle coste ma ci sono anche insediamenti sulla terraferma al Nord e lungo la dorsale appenninica. Infatti, anche le acque di pozzo possono essere contaminate da metalli pesanti o semplicemente troppo saline per gli scopi industriali o civili previsti, per questo richiedono processi di dissalazione. In realtà almeno il 40% degli impianti di dissalazione italiani sono obsoleti o fuori uso, quindi la produzione rimane molto bassa rispetto alle nostre potenzialità. La desalinizzazione sulla terraferma viene applicata in grandi impianti al servizio di complessi industriali (come gli impianti petrolchimici), mentre le applicazioni civili sono per lo più localizzate su isole o aree costiere. L’ osmosi inversa (OI) è il processo più utilizzato con oltre l’85% di impianti installati, seguito dai processi termici di evaporazione e ricondensa (14%) Multi Stage Flash. Le tecniche più recenti sono spesso accoppiate con processi convenzionali per raggiungere la circolarità che riguarda il riutilizzo della salamoia da cui si possono estrarre sali minerali come l’idrossido di calcio e magnesio (8) per poi riversarla in mare. Gli impianti di dissalazione più grandi sono ubicati in Sicilia e in Sardegna, ma quelli siciliani non sono pienamente operativi, molti sono in fase di manutenzione/revamping/smantellamento.

I dati accessibili al pubblico non forniscono una visione esaustiva dell’applicazione di questi sistemi o degli impatti ambientali ad essi associati. Sono in fase di definizione normative nazionali più severe per controllare l’impatto ambientale dei dissalatori, mentre alcune misure per prevenire tale impatto sono già state adottate nelle normative di nuova attuazione.

L’impatto dei dissalatori, sia termici (evaporazione) che ad osmosi è dovuto principalmente allo scarico in mare della salamoia, cioè dell’acqua salata che si origina, ad esempio, dal concentrato di OI (quello ritenuto dalle membrane). Un altro fattore di impatto è dovuto alla sostituzione delle membrane dopo almeno 4 anni di funzionamento. I grandi impianti forniscono decine di ton. di plastiche costituenti dei filtri.

2.2.1 Gli impianti di dissalazione a osmosi inversa

Generalmente gli impianti di OI che utilizzano l’acqua di mare sono costituiti da 4 sezioni di trattamento. La prima prevede la captazione dell’acqua che spesso viene effettuata con pozzi situati sulla costa vicino al mare, questo per avere una prima filtrazione dell’acqua che viene depurata da depositi marini, sabbia, alghe, mitili, ecc. La seconda fase prevede ormai di routine un trattamento di UF per purificare ulteriormente l’acqua in modo da aumentare le prestazioni e la durata delle membrane di OI. La terza fase è quella osmotica in cui l’acqua viene inviata ad alta pressione sulla superficie dei filtri, da cui esce un permeato che è circa il 45% dell’alimento, praticamente demineralizzato mentre circa il 55% del volume d’acqua (salamoia) viene riversato in mare a debita distanza dal punto di captazione. La quarta fase prevede una re-mineralizzazione dell’acqua se viene impiegata per la potabilizzazione. Se invece l’acqua osmotizzata si deve usare per produrre vapore e quindi energia, tramite una turbina collegata ad una dinamo, l’acqua filtrata in osmosi deve essere ulteriormente addolcita con tecniche di elettrodialisi per rimuovere tracce di sali minerali.

Il concentrato di OI possiede una salinità 1,5-2 volte più alta dell’acqua di alimento 35-40 g/L tuttavia presenta stesso colore, odore, contenuto di ossigeno e trasparenza, pertanto può essere scaricato nuovamente in mare, senza produrre impatti estetici o alterazioni sensibili dell’ambiente acquatico. Il flusso di concentrato viene mescolato con le portate discontinue di lavaggio dei filtri prima di essere scaricato. Il permeato prodotto dalla dissalazione dell’acqua di mare, tipicamente possiede una salinità molto bassa, tra 100 e 500 mg/l, ma può essere remineralizzata per il consumo umano.

Tuttavia, l’acqua è potabile anche senza re-mineralizzazione: ha una durezza molto bassa, ma per questo parametro esiste solo un valore consigliato e non obbligatorio di 15 gradi francesi, cioè 150 g/L. Comunque, la re-mineralizzazione del permeato di OI viene eseguita mediante dosaggio di sali, impiego di cristalli di dolomite, un minerale costituito da carbonato di calcio e magnesio, ma può anche essere eseguita impiegando piccoli dosaggi di salamoia. La dolomia rilascia gradualmente il necessario apporto di calcio e magnesio in modo da ottenere la durezza voluta dell’acqua. Le pressioni idrauliche normalmente raggiunte in ingresso all’osmosi, si aggirano tra i 50 e i 60 bar, la portata è di solito pari al 45-50% del flusso di alimento. Nella figura 3 è riportato lo schema di funzionamento del dissalatore, con pretrattamento costituito da sgrigliatura e filtro autopulente, entrambi seguiti dall’unità ad osmosi inversa, protetta dalla microfiltrazione di sicurezza. Il permeato prodotto, viene poi additivato nel miscelatore con ipoclorito di sodio per la disinfezione, e cloruro calcico per la re-mineralizzazione. Infine, l’acqua resa potabile, raggiunge le utenze attraverso la rete di distribuzione. Ogni impianto viene realizzato sulla base delle specifiche chimiche dell’acqua di mare che può avere salinità diverse da un sito all’altro, ad esempio nel golfo persico la concentrazione di sale è di 40 g/L arriva fino a 45 g/L, ed anche di altre specie chimiche come silice, fosfati, solfati, ecc., per questo ogni impianto può essere differente dagli altri. Nella figura 3 si riporta l’immagine di un dissalatore con i suoi 18 vessel che contengono le membrane di osmosi.

Tra le installazioni più famose sul nostro territorio, va senz’altro citato il dissalatore dell’isola di Ustica, in grado di produrre 66 m3/h di acqua dissalata, a partire da un’alimentazione di 90 m3/h., quindi il recupero del dissalato è del 66%.

Fig.3: dissalatore dell’acqua di mare con una produzione di 2.000 m3/giorno (Gajarda srl)

2.2.2: Consumi energetici e costi di produzione dell’acqua dissalata.

L’OI consuma molta energia per operare ad alte pressioni se l’alimento è acqua marina, ma se il contenuto salino scende come nelle acque salmastre o su quelle alla foce dei fiumi, i consumi energetici scendono in rapporto alla minore pressione di esercizio dei moduli a membrana. Nella tabella 2 si riportano i consumi energetici degli impianti a membrana (OI e UF) in funzione della salinità delle acque di alimentazione.

Acqua di alimentazionekW/h x m3 di permeatoPressione esercizio (bar)Costo €/ m3 (0,2 €/kW/h)
Mare mediterraneo (OI)4,0550,80
Acqua salmastra (OI)1,8300,36
Acqua di fiume (OI)1,2270,24
Acque reflue da depurazione (UF)0,870,16

Tabella 2: consumi e costi dei processi di trattamento delle acque con tecniche di membrane

La fase energivora è quella dell’OI in cui bisogna applicare una pressione idraulica di circa 40-60 bar, ovviamente tale pressione dipende dal contenuto salino dell’acqua primarie, che per il Mediterraneo è di circa 30-35 g/L 35 ma in Sardegna è in Sicilia arriva anche a 40 g/L, che corrisponde ad una pressione osmotica di 24 bar.

Nel processo di OI circa il 60 % in volume dell’acqua primaria, la così detta salamoia, viene riversato in mare ad una pressione di poco inferiore alla pressione di esercizio della pompa, con lo spreco di una notevole quantità di energia. I grandi impianti di OI sull’acqua di mare (oltre 1.000 m3/giorno) utilizzano una turbina che viene azionata proprio dal flusso della salamoia per recuperare energia oppure un sistema di recupero isobarico, più efficiente dal punto di vista energetico ma più delicato da gestire e manutenere. Gli impianti di taglia più piccola (inferiori a 200 m3/giorno) spesso non dispongono di tale dispositivo di recupero energetico. I consumi energetici della tabella 2 si riferiscono ad impianti con recuperatore di energia.

3. Conclusioni

L’acqua è sempre più indispensabile per la nostra sopravvivenza e per quella del pianeta (2). La lotta ai cambiamenti climatici è ormai aperta in tutto il mondo e richiede soluzioni immediate prima che sia troppo tardi. Il problema della siccità non è solo una prerogativa dell’Africa o dei paesi del medio oriente ma interessa tutta l’Europa e il nostro paese in particolare (1). Diverse soluzioni, più meno tecnologiche possono essere messe a terra, ma bisogna che i cittadini facciano la loro parte, riducendo gli sprechi. Tuttavia, una serie di accorgimenti pratici di buon senso, possono essere adottati subito come la sistemazione delle fatiscenti reti idriche, il miglioramento degli impianti di captazione delle acque piovane, i sistemi di impermeabilizzazione degli invasi ma molti altri accorgimenti devono essere approntati con l’impiego di tecnologie di filtrazione per il recupero e riutilizzo della risorsa idrica.

Nel contesto della depurazione-recupero idrico bisogna necessariamente adeguarsi alle normative vigenti per rispettare tutte le specifiche chimiche e microbiologiche delle acque recuperate. Ad esempio se la chimica delle acque depurate presenta degli sforamenti sulla normativa riguardo agli indici chimici come l’azoto, il fosforo, il calcio e potassio ecc. quando si tratta di utilizzi in campo agronomico bisogna applicare la normativa “cum grano salis”. Bisogna quindi considerare che i processi di depurazione devono essere visti in funzione dell’impiego finale delle acque senza cercare sempre il pelo nell‘uovo. Dalla filtrazione delle acque reflue dagli impianti di depurazione civili si potrebbe teoricamente ricavare circa 10 milioni di m3/giorno di acqua.

La dissalazione delle acque, in particolare di quelle marine, per tutti gli scopi applicativi dalla potabilizzazione fino all’agricoltura è sicuramente una opportunità gigantesca anche per le caratteristiche della nostra penisola con 8.300 km di costa. In Italia la produzione di acqua dissala è troppo modesta per una penisola circondata dal mare.

Tra i vari vantaggi dell’OI c’è anche un’opportunità da sottolineare: la sinergia tra dissalazione e fonti di energia rinnovabile. Integrando gli impianti di dissalazione con queste fonti, non solo rendiamo il processo di produzione di acqua potabile più sostenibile, ma iniziamo anche a delineare un modello per un futuro in cui l’energia pulita alimenta le nostre necessità basilari. Risulta evidente come gli impianti di OI rappresentano la soluzione attualmente più vantaggiosa, economica e sicura tanto nella dissalazione di acqua di mare che nel trattamento di acqua salmastra.

Le soluzioni per combattere la grave emergenza della siccità nel mondo e nel nostro paese in particolare, non sono futuribili ma tutte reali e disponibili subito nel pieno rispetto dell’ambiente, anzi mitigano gli impatti attuali che vanno nella direzione della sostenibilità. I consumi energetici degli impianti a membrana sono assolutamente abbordabili, anche per una destinazione agricola della risorsa idrica.

4. Bibliografia

1. Schmidt, G., J.J. Benítez, and C. Benítez, 2012: Working definitions of water scarcity and drought. EU & CIS Document in the framework of the activities of the EU CIS “Expert Group on Water Scarcity & Droughts”, 11.p.p.

2. Petrella R.: Il Manifesto dell’acqua – EGA- Edizione Gruppo Abele (2001).

3. Bozzini A., Pizzichini M.: La risorsa idrica come fattore di sviluppo; L’Informatore Agrario 6, p.p.28-30, (2001).

4. Pizzichini M., Di Meo C.: Depurazione dei reflui di cartiera con tecnologie di membrana; Acqua &Aria, n°1, p.p 52-55 (2005).

5. Pizzichini M., Braccio G., Bozzini A.: Le Tecnologie di membrana per la dissalazione dell’acqua di mare e la gestione della risorsa idrica. ENEA, Energia Ambiente Innovazione n.2, (2001).

6. Pizzichini M., Pennacchio M.: Salviamo il lago di Bracciano con l’acqua del depuratore Cobis; Fidaf (2006).

7. Blue Box, sezione 2: acque e infrastrutture, p.p 42-43 (2024).

8. Fontana D., Forte F., Pietrantonio M. et al. Magnesium recovery from seawater desalination brines: a technical review. Environ Dev Sustain 25, 13733–13754 (2023).