La Corte di Cassazione, sez. lavoro, con la sentenza n. 605 del 2025, si è occupata di un lavoratore con disabilità cui era stata negata la possibilità di lavorare nella sede dell’azienda situata nel comune in cui risiede o in località raggiungibile con più facilità dal luogo di residenza per svolgere le proprie mansioni da remoto o in regime di smart working

E’ stato, infatti ribadito dalla Suprema Corte, richiamando anche il d.lgs. n. 62 del 2024, che – nell’ottica del bilanciamento tra esigenze contrapposte – il datore di lavoro è sempre tenuto a adottare soluzioni ragionevoli affinché il lavoratore con disabilità possa svolgere le mansioni compatibili con la sua condizione psico-fisica.

La possibilità di svolgere l’attività lavorativa da remoto rientra appunto tra gli accomodamenti ragionevoli e potrebbe non essere ammessa solo se il datore di lavoro riuscisse a provare che tale soluzione comporti oneri finanziari sproporzionati. Inoltre, la Cassazione evidenzia che qualora non vi sia accordo in sede negoziale sull’accomodamento ragionevole, spetta al giudice individuare la soluzione del caso.

Su tali premesse, la Suprema Corte ha respinto il ricorso dell’azienda, che non aveva rispettato l’obbligo di adottare accomodamenti ragionevoli ex art 3, comma 3 bis del D.lgs. 216/2003 per garantire un ambiente lavorativo inclusivo per il proprio dipendente con disabilità, confermando il diritto dello stesso a svolgere l’attività lavorativa da remoto.

Si tratta di soluzione ragionevole, che contempera gli opposti interessi in gioco, come può dimostrare il fatto ad essa l’azienda avesse fatto già ricorso durante il periodo pandemico.