Ospitiamo con piacere l’Introduzione del libro “Salute planetaria. Riflessioni per un futuro sostenibile” curata da Federico Serra, Segretario Generale dell’Osservatorio sulla Salute come bene comune e Direttore Generale Planetary Health Inner Cicle, che presenterà il lavoro lunedì prossimo 12 Maggio alle ore 11.00 presso l’auditorium “Cosimo Piccinno” del Ministero della Salute a Roma in lungotevere Ripa 1. Il testo, composto da 36 capitoli, è stato realizzato con il contributo di autorevoli esperti e con la prefazione dei Ministri Schillaci, Pichetto Fratin e di Monsignor Vincenzo Paglia.

Nel marzo di quest’anno, il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres, in occasione della pubblicazione del Sesto Rapporto IPCC, era stato inequivocabilmente chiaro: «In tempi rapidi, il nostro pianeta ha bisogno di un’azione risoluta per il clima, da attuarsi su tutti i fronti – ovunque, e rapidamente». Ma, chi realizzerà questa azione? Per Guteress l’umanità è come se fosse seduta su una lastra di ghiaccio sottile – e quel ghiaccio si sta sciogliendo rapidamente – e come spiega il rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), gli esseri umani sono responsabili di quasi tutto il riscaldamento globale degli ultimi 200 anni. Il tasso di aumento della temperatura nell’ultimo mezzo secolo è il più alto degli ultimi 2.000 anni e le concentrazioni di anidride carbonica sono ai massimi livelli da almeno 2 milioni di anni a questa parte. Dobbiamo essere consapevoli che la bomba a orologeria climatica rapidamente avanza ed è pronta a esplodere se non facciamo qualcosa di concreto.
Il rapporto dell’IPCC è una guida pratica per disinnescare questa bomba, è una guida di sopravvivenza per l’umanità e ci mostra che il limite di 1,5 °C è raggiungibile. Ma ci vorrà un salto di qualità nell’azione dei governi e di ogni singolo individuo su tutti i fronti: tutto, ovunque, tutto in una volta. Il nostro mondo sta affrontando il momento più cruciale e precario da generazioni. Le persone vengono colpite da un cambiamento climatico incontrollabile. Entro il 2050, la popolazione mondiale si avvicinerà ai 10 miliardi.
L’azione, o l’inazione, di tutti i Paesi determinerà se ogni membro della nostra famiglia umana potrà vivere in modo sostenibile e pacifico, su un pianeta sano. Incremento demografico e crisi climatica possono diventare una miscela esplosiva in grado di produrre effetti devastanti sul nostro futuro. L’innalzamento delle temperature, dovuto a politiche ottuse da parte di alcuni membri del G20, ovvero le più forti economie del mondo, potrebbe portarci a vere catastrofi naturali e sociali, da dove tornare indietro sarebbe difficile. Un pianeta a differenti velocità, dove i Paesi più ricchi generano il problema e quelli più poveri ne patiscono le conseguenze.
Nove dei dieci Paesi più vulnerabili dal punto di vista climatico sono nell’Africa subsahariana, la cui popolazione dovrebbe raddoppiare entro il 2050 e dare vita a fenomeni di migrazione climatica incontrollabili e devastanti sui sistemi socioeconomici e sulla salute degli individui. Quando si ragiona di Planetary Health, bisogna essere consapevoli che l’impegno non Introduzione Federico Serra, Segretario Generale dell’Osservatorio sulla Salute come bene comune, Direttore Generale Planetary Health Inner Circle XXII Salute Planetaria – Riflessioni per un futuro sostenibile può essere delegato ma deve coinvolgere tutti noi nell’ottica del bene comune.
A Margaret Mead, grande antropologa americana del Novecento, durante una lezione una studentessa le chiese quale fosse secondo lei il primo segno di sviluppo culturale in una civiltà. Probabilmente tutto il pubblico si aspettava che la risposta fosse uno strumento per approvvigionare il cibo, come un amo da pesca o un’arma di pietra per la caccia. Margaret invece disse che l’origine di una civiltà era indicata dal ritrovamento di un osso fratturato e poi rinsaldato, segno di cura e di attenzione per gli altri.
Tra gli animali una zampa fratturata significa la morte, perché un individuo non può più cacciare, né fuggire da un predatore. Nessun animale, perciò, sopravvive abbastanza a lungo per permettere a un arto di rinsaldarsi. Al contrario, un femore o un altro osso che è guarito è la prova che un altro individuo ha assistito chi si è infortunato, lo ha aiutato a curare la ferita, l’ha portato in un luogo protetto e lo ha accudito fino alla guarigione. Quindi, il primo segno di una civiltà è l’aiuto reciproco nelle difficoltà.
Dobbiamo imparare da questa osservazione per considerare che il “femore rotto” oggi è la perdita di biodiversità, l’innalzamento delle temperature, il mancato accesso alle cure in molte parti del modo, l’aumento delle zoonosi, tutti fattori che rendono fragile il sistema sociale e che necessitano di una risposta comune.
Il concetto di One Health e la connessione tra mondo umano e quello animale, non è un concetto astratto, ma un fatto concreto che fa sì che il contesto dove viviamo è un sistema connesso e globale. Deve fare riflettere quanto pubblicato recentemente dalla stampa internazionale, su Scientific Reports, riguardo uno studio condotto da ricercatori del Development and Evolution of Cognition Research Group del Max Planck Institute of Animal Behavior di Konstanz assieme ai colleghi del Department of Biology, Graduate Program, Faculty of Biology and Agriculture della Universitas Nasional di Jakarta. Lo studio fa riferimento a quanto osservato da loro nel giugno 2022, quando il team di ricercatori notò un comportamento mai osservato prima nel mondo animale: un orango di Sumatra, di nome Rakus, si è autocurato una ferita utilizzando una pianta medicinale.
Nel Parco Nazionale Gunung Leuser, una riserva della foresta pluviale sull’isola indonesiana occidentale di Sumatra, gli scienziati hanno sentito dalle cime degli alberi una serie di “lunghi richiami”, un comportamento che di solito rileva nei primati comportamenti di dominanza o aggressività maschile. Il giorno successivo, videro Rakus con una ferita aperta sulla guancia destra, appena sotto l’occhio, segno di una lotta avvenuta all’interno di una colonia di oranghi. Giorni dopo, il team ha osservato Rakus mettersi al lavoro, raccogliendo e masticando gli steli e le foglie di Akar Kuning (Fibraurea tinctoria), o radice gialla. La pianta è una vite rampicante originaria della regione che la popolazione locale utilizza per le sue qualità medicinali per trattare condizioni come il diabete, la dissenteria e la malaria. Anche se non è certo un alimento base della dieta degli oranghi (il team ha notato che la radice gialla viene mangiata solo lo 0,3% delle volte), Rakus la consumava comunque. L’orango la masticò, senza deglutirla, poi ne sparse i succhi e l’impiastro sulla ferita, dove avevano cominciato ad accumularsi alcune mosche. Rakus tornò alla pianta il giorno successivo e la mangiò, e presto la sua ferita fu completamente guarita.
Isabelle Laumer, autrice dello studio, commentando con National Geographic quanto notato su Rakus, ritiene che questa sia la prima osservazione di un animale selvatico che tratta la sua ferita proprio con una pianta medicinale. Ci sono voluti cinque giorni, dopo il trattamento, perché la ferita si chiudesse e gli scienziati non hanno riscontrato segni di infezione dopo un mese. La ricerca sulla chimica della radice gialla ha dimostrato che la pianta ha proprietà antibatteriche, antinfiammatorie, antifungine, antiossidanti, antidolorifiche e anticancerogene.
È difficile comprendere da dove Rakus abbia imparato a curarsi e a riconoscere i benefici di una pianta medicinale nel curare la propria ferita e se è qualcosa tramandata all’interno degli esemplari del gruppo. Quello che colpisce è osservare l’esatta percezione che il primate ha avuto delle proprietà curative della pianta e della tecnica da utilizzare, e come curare e prendersi cura non fa parte solo della componente umana. Allora bisogna comprendere al meglio come le sfide ambientali, quali la crisi climatica, la perdita di biodiversità, l’inquinamento e la deforestazione, possano avere un impatto sulla salute umana, e trovare soluzioni sostenibili per affrontare queste sfide.
La salute planetaria si basa sull’idea che la salute delle persone è intrinsecamente legata alla salute dell’ambiente in cui si vive, e quindi è importante adottare un approccio integrato per affrontare le sfide globali che minacciano entrambi.
La Dichiarazione di São Paulo sul Planetary Health del 2021, dice che ogni persona, in ogni luogo, con ogni vocazione, ha un ruolo da svolgere nella salvaguardia della salute del pianeta e delle persone per le generazioni future. Un invito che raccogliamo e che questo libro, che ha coinvolto politici, esperti, accademici e ricercatori, vuole trasformare da pensiero in azione, consapevoli che, come dice Marshall McLuhan, «Non ci sono passeggeri sulla Nave Terra. Siamo tutti parte dell’equipaggio».